Il Salento, estrema propaggine est dell’Italia meridionale, ha da sempre costituito un privilegiato luogo di transito per i popoli del Mediterraneo, i quali ne animarono la movimentata storia.
Tra le antiche genti che popolarono questo lembo di penisola, i Messapi, un popolo che Erodoto vuole originario di Creta ma che studi recenti fanno risalire all’Illiria, sono quelli che più di altri hanno lasciato tracce evidenti della loro epopea.Il nome, che significa “popolo tra i due mari”, fu loro attribuito dai greci, i quali colonizzarono la Penisola Salentina a partire dal IV secolo A.C., ma molte influenze, tra le due culture, vi furono anche in epoche più remote, ben ravvisabili nella straordinaria similitudine esistente tra l’architettura messapica e quella micenea.
Tracce di questo popolo, per molti aspetti ancora misterioso, sono diffusamente presenti in tutto il Salento, e la città di Vaste, l’antica Basta di cui notizie già si rinvengono nelle opere di Plinio e di Tolomeo, rappresenta uno dei siti più interessanti per la quantità e la qualità dei reperti che gli scavi hanno restituito alla vista dei contemporanei.

Proprio a Vaste fu infatti rinvenuto il primo esempio di scrittura messapica, su un blocco lapideo del quale, dopo il trasporto a Napoli, si sono perse le tracce, il quale assieme alle iscrizioni messapiche, greche e romane presenti nella Grotta della Poesia, presso Roca, ha consentito una prima decifrazione di una lingua di cui alcune forme glottologiche ci sono tuttora ignote.
Le numerose indagini effettuate in oltre un quindicennio presso l’area archeologica dell’attuale frazione di Poggiardo (particolarmente ad opera dei Prof. F. D’Andria dell’Ateneo leccese), fanno più chiara luce su numerosi aspetti della vita e della cultura di questo popolo antico, le cui orme si seguono, sebbene con scarsità di reperti, sino all’Età del Ferro, epoca a cui risalgono i primissimi insediamenti di cui si rinviene traccia in un nucleo abitativo costituito da capanne, recentemente rinvenuto.
Ricca è invece la messe di rinvenimenti del periodo In cui la Vaste messapica raggiunse il suo massimo livello di sviluppo, a partire cioè dalla metà dei IV sec. a.C., quando l’imponente cinta muraria della città, costituita da due linee di blocchi litici di enormi dimensioni unite da un terrapieno, incluse uno spazio ben più ampio dell’insediamento originario, arrivando ad estendersi per circa 3.350 metri, così circoscrivendo una superficie di più di 77 ettari.

Presso le aree periferiche dell’insediamento urbano si rinviene una necropoli di età ellenistica, ma nello stesso centro dell’abitato non si è mancato di rinvenire tombe con relativi depositi funerari, nonché il monumentale “Ipogeo delle Cariatidi”, alle cui camere funerarie si guadagnava accesso attraverso un architrave decorato, sostenuto da quattro magnifiche cariatidi, una delle quali visibile presso il Museo Provinciale Sigismondo Castromediano di Lecce, le altre presso il Museo Nazionale di Taranto. Il popolo dei messapi si estinse nella dominazione romana, quando Basta fu “Oppidum”, e il suo destino, nel tragico e brusco abbandono, si sarebbe compiuto solo nel 1156 (la data è controversa), ad opera di Guglielmo il Malo: l’abitato venne raso al suolo e le sue mura abbattute. Tuttavia, nel museo archeologico del piccolo centro, molto rimane ancora da scoprire per il visitatore.Il Museo Archeologico della Civiltà Messapica è infatti oggi una realtà di cui Vaste e Poggiardo hanno ben ragione di sentirsi orgogliose, e nelle stanze del cinquecentesco Palazzo Baronale, in Piazza Dante, centro del paese. hanno trovato splendida collocazione molte eredità del popolo tra i due mari.

Il percorso espositivo propone un susseguirsi di testimonianze che conducono l’osservatore lungo un suggestivo itinerario, percorrendo il quale potranno osservarsi i ricchi corredi delle tombe a sarcofago, i bellissimi crateri, i bacili, gli strigili, nonché le tipiche “trozzelle” a decorazione geometrica o floreale delle sepolture femminili; ancora numerosi sono gli elementi architettonici, tra i quali spicca per importanza un capitello decorato a rosette, rinvenuto dall’ing. Gianni Carluccio, parte d’una colonna funeraria.
Il museo è realizzato con scansione temporale: dai luoghi di culto di età arcaica ed ellenistica, ricostruiti nelle prime sale, fino al medioevo.
Pregevoli sono il “tesoretto” costituito da 150 stateri d’argento fior di conio e le 17 “tesserae lusoriae” in avorio, raro strumento ludico di età romana.
Un’accurata ricostruzione virtuale, proiettata su grande schermo, consente al visitatore un’autentica immersione a ritroso nel tempo, e rende indimenticabile la visita a questo gioiello dell’archeologia pugliese.